Il ghiaccio su Mercurio

 

Tutti sanno che Mercurio è il pianeta più vicino al Sole, e che ciò rende caldissima la sua superficie: a mezzogiorno all'equatore la temperatura può superare i 700 gradi centigradi, abbastanza da formare pozzanghere di piombo o di stagno fuso. Temperature estreme sono anche favorite dal fatto che l'atmosfera del pianeta è estremamente tenue, mentre la sua rotazione diurna è assai lenta (avviene in circa 59 giorni terrestri). Quando la sonda Mariner 10 fotografò Mercurio nel 1974 e nel 1975, gli astronomi scoprirono una superficie piuttosto simile a quella lunare: una tormentata distesa di crateri da impatto e di altipiani vulcanici. Nell'agosto del 1991 Mercurio si trovava allineato con il nostro pianeta dalla stessa parte del Sole, e le zone rivolte alla Terra erano proprio quelle rimaste invisibili al Mariner 10 negli anni '70. Si trattava quindi del momento ideale per osservare il pianeta con la tecnica radar, che consiste nell'inviare verso di esso potenti fasci di radioonde e poi raccogliere ed analizzare il segnale riflesso. Il fascio in partenza fu dunque trasmesso, due volte a 15 giorni di intervallo, dalla grande antenna della NASA (70 metri di diametro) situata a Goldstone, in California; i riflessi radio prodotti furono poi raccolti dalle 27 antenne del Verv Large Array a Socorro, nel Nuovo Messico.

Immagini a sorpresa

In entrambe le occasioni, l'analisi dei segnali radar permise di costruire rozze "immagini" dell'emisfero del pianeta rivolte verso la Terra, in cui risaltavano zone chiare (ossia più riflettenti) di centinaia di km di diametro, probabilmente grandi bacini da impatto. Ma entrambe le immagini mostravano anche un'eco assai forte da una ristretta regione vicina al bordo del pianeta, e praticamente sovrapposta al suo polo nord. La scoperta fu subito confermata da altre osservazioni, compiute alla lunghezza d'onda di 13 (invece che di 3,5 cm) dal grande radiotelescopio di Arecibo a Portorico. Si tratta di ghiaccio? Gli astronomi lo confermarono successivamente. Mentre il ghiaccio comunemente assorbe le onde radio, esso diventa assai riflettente quando la temperatura è abbastanza bassa. Un precedente importante è stato poi quello di Marte: anche in questo caso la calotta polare sud, ricca di ghiaccio, è stata osservata via radar come una macchia brillante. Se al polo nord di Mercurio l'alta riflettività radar fosse dovuta ad un materiale diverso dal ghiaccio, la sua presenza proprio al polo sarebbe una semplice coincidenza, e ciò sembra poco plausibile.

Il Sole di taglio

È ragionevole ipotizzare temperature assai basse ai poli di Mercurio? La risposta è positiva, e per una ragione ben specifica: le stesse forze di marea solari che fanno sì che Mercurio ruoti su se stesso in un tempo esattamente pari ai due terzi del suo periodo orbitale, mantengono anche il suo asse di rotazione vicinissimo alla perpendicolare al piano dell'orbita. Ciò ha la conseguenza che mentre all'equatore il Sole a mezzogiorno passa esattamente allo zenit, ai poli solo una "fetta" del Sole riesce ad affacciarsi sopra l'orizzonte (quando esso è piatto). La luce solare colpisce perciò la superficie quasi di taglio, ed il fondo di depressioni o crateri può rimanere per sempre in ombra. E interessante notare che questo fenomeno non accade sulla Luna, i cui poli oscillano rispetto alla direzione del Sole di oltre un grado. David Paige e Stephen Wood dell'Università della California hanno calcolato che la temperatura nelle regioni polari probabilmente non supera i 200 gradi sotto zero, con la conseguenza che eventuali chiazze di ghiaccio potrebbero resistere per tempi lunghissimi all'irraggiamento solare senza "evaporare" nell'atmosfera. Secondo Paige e Wood, la zona fredda si estende per qualche centinaio di km ed inoltre non è circolare ma oblunga, il che concorda con la forma della macchia identificata dai radar al polo nord.

Ghiaccio nel sottosuolo

Tuttavia, vi furono alcune incognite. Se il ghiaccio fosse esposto alla superficie, esso potrebbe essere lentamente distrutto dalle radiazioni ultraviolette di provenienza cosmica, oppure dall'impatto delle particelle cariche intrappolate nella magnetosfera di Mercurio. Ma questi processi "erosivi" non funzionerebbero se il ghiaccio fosse ricoperto da un sottile strato di polvere o di roccia finemente frammentata: il che d'altra parte non lo renderebbe invisibile ai radar, visto che le radioonde possono penetrare fino a diverse decine di centimetri sotto la superficie. Una sottile coltre di polvere potrebbe essere stata prodotta dal continuo processo di impatti meteoritici cui è sottoposta la superficie del pianeta, impatti che frammentano il suolo e spargono i frammenti anche a distanze considerevoli. Raggiungere la certezza dell'esistenza delle calotte polari di Mercurio non e stata compito facile. Solo ogni due o tre anni le osservazioni radar sono possibili anche nel 1994 si è presentata l'opportunità di "vedere" il polo sud del pianeta, e di verificare se anche là sia situata una zona riflettente, la cosa è stata confermata. Ma per avere mappe ad alta risoluzione delle vaste zone di Mercurio non viste dal Mariner 10, sarebbe essenziale una nuova sonda che si avvicinasse al pianeta, o, ancora meglio, che entrasse in orbita intorno ad esso: un tipo di missione che tuttavia non è in programma per i prossimi dieci anni.

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